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venerdì 1 luglio 2011

Paranormal Activity

una decina d’anni anni di distanza da The Blair Witch Project, Paranormal Activity è un altro fenomeno horror no-budget di dimensioni inimmaginabili. Realizzato con un budget di soli 15.000 dollari da un regista esordiente, ha superato i cento milioni di dollari di incasso negli Stati Uniti. Come The Blair Witch Project, anche Paranormal Activity, in assenza di mezzi che consentissero la creazione di orrori “cinematografici”, ha scelto la strada di ricreare la pura e semplice realtà – o meglio, l’illusione della realtà – e di lasciare che al suo interno si insinuasse l’orrore. Realizzato nel 2007, Paranormal Activity ha suscitato l’interesse di una major e, dopo qualche intervento cosmetico e di montaggio oltre a una modifica – più d’effetto che sostanziale – al finale, è stato distribuito nei cinema americani a due anni di distanza.
La storia è semplice e, nel suo assunto, rimanda a decine, se non centinaia, di film analoghi. San Diego, California. Micah (Micah Sloat) e Katie (Katie Featherston) sono fidanzati e vivono insieme. Katie ha una lunga e strana storia di presunti contatti con un’entità soprannaturale che sembra seguirla da quando aveva otto anni. Micah è scettico, ma vuole aiutarla. Perciò decide di filmare tutto – la telecamera è puntata su di loro anche quando dormono – in modo da poter catturare l’eventuale “presenza”. Il film è presentato quindi come se fosse un montaggio dei filmati di Micah. Un sensitivo, il dottor Fredrichs (Mark Fredrichs), visita la loro casa per scoprire se c’è “qualcosa”. Katie gli spiega che accadono fenomeni inspiegabili: luci che lampeggiano, rubinetti che si aprono e si chiudono da soli e così via. Fredrichs capisce che la questione dev’essere risolta lì, non basta scappare: l’entità inseguirà Katie ovunque, come ha già fatto. Fredrichs distingue tra fantasmi e demoni: i fantasmi erano umani, i demoni no. Lui sa come affrontare i fantasmi, mentre per i demoni serve un demonologo: faranno meglio a chiamarne uno. Invece, Micah cerca di contattare il demone con una ouija-board: proprio quello che Fredrichs aveva detto di evitare, per non provocarlo.
Le riprese sono volutamente amatoriali, con un eccesso di movimenti da mal di mare che forse nemmeno i dilettanti della videocamera compiono più. Ma tutto serve per dare l’illusione della “verità”. Attori sconosciuti, interni qualunque: il segreto della rappresentazione della realtà è nella ricerca di semplicità, di banalità. La casa è una normalissima casa moderna, senza nulla di oscuro, di vecchio, di gotico. È una casa come quelle in cui abitiamo – è in effetti la casa del regista – e dà uno sfondo di quotidianità alla vicenda. Non c’è musica, tranne quella diegetica. Anche questo serve a creare l’illusione del reale. Pur nella sua lentezza, il film è stranamente affascinante. Crea l’intimità con le piccole cose, dando allo spettatore la sensazione di guardare dal buco della serratura una coppia inerme sull’orlo di un precipizio. L’inizio è molto tranquillo, pieno della scherzosa banalità della vita di coppia. Progressivamente, ma senza fretta, l’atmosfera si fa più pesante. Piccole cose accadono in modo sempre più convergente, sino al precipizio finale quando l’incubo prende il sopravvento. L’interazione dei due protagonisti è talvolta petulante, ma resta verosimile. Entrambi gli interpreti sono spontanei e credibili. Una cosa che emerge con forza è la solitudine dei due ragazzi di fronte allo spirito maligno. Nessuno vuole o può aiutarli, il sensitivo se la batte non appena si rende conto che non si tratta delle baggianate di cui si occupa di solito. Il concetto che passa – comune ad altri horror – è che non bisogna provocare i demoni se non si vuole che si incavolino di brutto.
A un film come questo si possono perdonare i difetti dell’inesperienza e alcune lungaggini. Si apprezzano invece il concetto, la novità del particolare tipo di approccio e la spavalderia di averlo messo in pratica, pur con un budget così ridotto. E anzi forse è proprio il budget ad aver aguzzato l’ingegno e suggerito l’approccio. La storia infatti è sempre quella: è il modo di raccontarla che è diverso e originale. Non è un film che fa “paura”, è un film che suscita curiosità, che ti fa interessare alle vicende dei protagonisti, sempre più immersi in una realtà che si fa via via sempre più ostile e aliena. E la capacità di intrattenere e coinvolgere non è una qualità da poco.
“Non riuscirete più a dormire” dice la pubblicità. Tranquilli, per dormire si continuerà a dormire. L’importante è che non lo si faccia al cinema e Paranormal Activity non lo favorisce.

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